RECENSIONI

P. Lymbery & I. Oakeshott 2014. Farmageddon, the true cost of cheap meat. Bloomsbury, London, xv+426 pp., £ 12,99.

Un atto di accusa contro l’allevamento di animali senza terra, e la dimostrazione che tale allevamento non allevia la fame nel mondo ma al contrario sottrae risorse preziose che potrebbero essere usate per combattere la fame.

In particolare: gli animali allevati per l’alimentazione umana consumano 1/3 dei cereali, 90% della soia e 30% dei pesci disponibili (p. 5). Negli allevamenti intensivi, per produrre 1 Kg di carne di bue, maiale e pollo occorrono rispettivamente 20 Kg, 7,3 Kg e 4,5 Kg di cibo (ottimo anche per l’uomo), quindi l’allevamento consuma molto più cibo di quanto ne produca (p. 253). La piscicoltura non alleggerisce la pressione per le risorse ittiche, anzi l’aggrava per la sottrazione di piccoli pesci che vengono dati in pasto a grandi pesci carnivori come trote e salmoni (p. 83). Gli umani si sono evoluti per introdurre pari quantità di acidi grassi omega-3 e omega-6, e gli scienziati raccomandano di introdurre non oltre 4 volte più omega-6 che omega-3, ma nella dieta occidentale media ci sono da 10 a 25 volte più omega-6 che omega-3, perché quando gli animali sono nutriti con cereali invece che con erba, la concentrazione di omega-3 nella carne crolla (p. 163).

Molti animali di allevamento attraverso la selezione artificiale sono stati modificati per rendere di più, in modo tale che non possono fare a meno di soffrire, ad esempio: Le mucche da latte sono selezionate per produrre quantità incredibili di latte, in media 7.000 litri all’anno anziché circa 1.000, e per produrre tali enormi quantità di latte non possono essere nutrite con erba perché non vi troverebbero abbastanza nutrienti, pertanto vengono nutrite con cereali e non hanno rapporti col terreno (p. 126). I polli allevati in batteria sono troppo pesanti e non riescono a reggersi sulle zampe (p. 191).

Altri aspetti dell’allevamento di animali: Ogni anno nell’Unione Europea 25.000 persone muoiono a causa di infezioni prodotte da microrganismi che sono divenuti resistenti ai farmaci a seguito del loro abuso in zootecnia (p. 142). In India ogni mezz’ora un agricoltore si suicida, per lo più a seguito di falliti tentativi di coltivare le nuove piante geneticamente modificate, o richiedenti grandi quantità di concimi, pesticidi ed erbicidi, anche destinate al bestiame, propagandate dalle multinazionali (p. 255).

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D. Ornish 1990, 1996. Dr Dean Ornish's program for reversing heart disease. Random House Publishing Group. Traduzione italiana: Il metodo Ornish per curare le malattie cardiache: un sistema potente e scientificamente provato per guarire senza farmaci e interventi chirurgici, Macro, Cesena, 2014, 543 pp., € 19,50.

Finalmente uno dei vari libri di Ornish tradotto in italiano. In questo libro Ornish dimostra che è possibile non solo prevenire la malattia cardiaca, ma anche farla regredire, con un metodo basato soprattutto sull'alimentazione, ma anche sullo stile di vita, l'esercizio fisico, il rilassamento e la meditazione. Le arterie ostruite si disostruiscono, senza medicine né operazioni chirurgiche. In particolare per quanto riguarda la dieta, essa è facile da seguire, perché non vi sono limiti quantitativi, ma solo la necessità di evitare alcuni cibi "proibiti" (specialmente carne e grassi).  Quindi non più bilancia a tavola! (25 dicembre 2014).

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J. & M. McDougall 2017. La starch solution, Speciale Italia. Sonda, Casale Monferrato, € 20,00.

Nella grande confusione delle diete e dei pareri dei nutrizionisti, che consigliano tutto ed il contrario di tutto, è molto opportuno l’arrivo di questo libro che, come altri libri recenti quali quelli di Campbell ed Ornish, focalizza l’attenzione sul cibo naturale per l’uomo e sull’importanza di limitare il peso corporeo e preservare la salute evitando malattie, seguendo l’esempio di tanti popoli dalla dieta frugale ma salubre, che non conoscono obesità né malattie cardiovascolari. McDougall sostiene che l’uomo mangia cibi ricchi di amido almeno da 30 mila anni e che siamo strutturati per nutrirci di alimenti di origine vegetale. L’alimentazione che McDougall consiglia non richiede sacrifici, perché pone limiti solo qualitativi e non quantitativi: una volta esclusi alcuni cibi, gli altri possono essere mangiati fino alla sazietà. I cibi esclusi sono tutti quelli di origine animale (carne, pesce, latte e latticini, uova) nonché quelli ricchi di grassi come frutta secca e tutti gli oli.

McDougall smentisce molte false credenze. Smentisce la favola che i carboidrati facciano ingrassare. I carboidrati eventualmente introdotti in eccesso vengono bruciati e solo in minima parte convertiti in grasso. Il grasso introdotto in eccesso invece viene subito accumulato con gravi effetti patologici. Anche troppe proteine causano danni a fegato e reni. Infatti bastano 40-60 grammi di proteine al giorno.

Smentisce la falsa credenza, sostenuta anche da nutrizionisti, che gli alimenti vegetali non contengano tutti gli aminoacidi essenziali.

Smentisce inoltre che il latte protegga le ossa dall’osteoporosi. Avviene invece il contrario: i cibi ricchi di proteine ed acidi alimentari, tra cui anche il latte ed i formaggi, danneggiano le ossa causando l’osteoporosi.

Smentisce che l’uomo non possa produrre quantità sufficienti di alcuni acidi grassi a lunga catena di atomi di carbonio come acido eicosapentaenoico (EPA) e acido docosaesaenoico (DHA) a partire da acido linoleico (omega-6) e acido linolenico (omega-3), presenti nelle piante, quindi non è vero che mangiare il pesce sia necessario, come taluni sostengono. Inoltre il pesce è tossico perché contiene mercurio, e proprio le specie che contengono maggiori quantità di EPA e DHA contengono maggiori quantità di mercurio.

McDougall irride alcuni che, diventando vegani, provano nostalgia del cibo che hanno abbandonato, e così mangiano surrogati con lo stesso aspetto e consistenza di carne e formaggio come burger di soia, seitan e tofu conditi con oli vegetali e margarina; tali cibi contengono un eccesso di proteine che danneggiano la salute.

Gli integratori alimentari sono inutili e pericolosi; essi non riducono, e possono aumentare, il rischio di cancro e malattie cardiache. Circa il 90% della vitamina D proviene dall’esposizione al sole e solo il 10% da alimenti arricchiti ed integratori. Gli integratori di calcio possono provocare cancro e infarto.

Modificare la nostra alimentazione è importante anche per risolvere i nostri problemi ecologici. Abbiamo 3 opzioni per affrontare la sovrappopolazione mondiale: controllo della popolazione; aumento della produttività agricola; modifica delle nostre abitudini alimentari. Le prime due presentano serie difficoltà. La terza invece risolverebbe tutti i problemi individuali e globali in un sol colpo (6 luglio 2017).

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Jacopo Simonetta & Luca Pardi, 2017. Picco per capre: capire, cercando di cavarsela, la triplice crisi: economica, energetica ed ecologica. Lu::Ce Edizioni, 237 pp., € 15,00.

Scopo di questo libro è dimostrare che l’intera nostra civiltà sta andando in frantumi, per cui è opportuno prepararsi al disastro e cercare dei modi per renderlo meno cruento possibile.

Infatti la nostra civiltà è basata sulla crescita continua. Cresce la popolazione umana, cresce la produzione di beni e servizi, il consumo di energia, il prodotto interno lordo. Ma questa crescita si scontra contro limiti: delle terre coltivabili, dei minerali estraibili, dell’energia sfruttabile, dell’inquinamento sopportabile. Finora l’umanità è per lo più riuscita ad aggirare tali limiti grazie a nuove tecnologie. Ma sarà ciò ancora possibile in futuro? In un mondo finito, dovrebbe essere chiaro a chiunque che una crescita illimitata non è possibile.

Inoltre in alcuni settori il “picco” è stato già raggiunto (ad esempio, per l’estrazione del petrolio). Ma non esiste un’alternativa al petrolio, perché esso ha molti impieghi e non solo quello di essere bruciato per produrre energia.

Un altro grave problema è quello dell’acqua. Contrariamente a quanto si usa dire, l’acqua non viene consumata, perché dopo l’uso c’è ancora; però viene sporcata, perché viene usata come discarica. Ne segue che c’è sempre meno acqua potabile. Quindi, invece di affermare “Oggi un miliardo di persone non hanno ancora accesso all’acqua potabile”, sarebbe più corretto dire: “Oggi sei miliardi di persone hanno ancora accesso all’acqua potabile”.

La popolazione umana è sempre cresciuta, dapprima lentamente (un raddoppio ogni 2.300 anni fino ai tempi dei Romani), poi velocemente (un miliardo in più ogni 12 anni circa a partire dal 1975). Attualmente siamo 7 miliardi e mezzo. Sulla stampa però “impazzano deliranti sproloqui in cui si lascia intendere che la popolazione europea sia in drammatica diminuzione. Lo scopo dell’operazione è puramente commerciale: i signori del marketing si sono resi conto che la classe di popolazione che spende di più in rapporto al reddito sono i genitori di bambini piccoli”. In realtà la popolazione mondiale sta ancora aumentando, anche se con velocità decrescente. La sovrappopolazione “causa aumento della disoccupazione, incremento dei flussi migratori, sgretolamento delle strutture sociali e politiche, distruzione di ecosistemi, perdita di biomassa e di biodiversità, erosione dei suoli, cambiamenti climatici, depauperamento delle risorse rinnovabili ed aumento della violenza”. Nel secolo scorso abbiamo avuto nel mondo occidentale un periodo di crescita demografica accompagnata da un aumento del benessere economico, ma si è trattato di un fenomeno irripetibile. “È accaduto ed è stato bello, ma è finito per sempre”. Oggi bisogna scegliere tra crescita demografica e prosperità.

Seguono alcuni consigli a livello individuale: ad esempio, cercare di far durare di più gli oggetti; curare l’orto; imparare tecnologie; mangiare in modo semplice e genuino; organizzarsi per far fronte ad eventuali black out; installare doppi vetri, pannelli fotovoltaici e termici, pompe di calore e cisterne (7 gennaio 2018)..

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Neal D. Barnard, The cheese trap, 2017. Traduzione italiana: La trappola del formaggio, Come liberarsi dalla dipendenza, perdere peso e stare finalmente bene, Sonda, Milano, 2019, € 19,00.

Quando una persona, diventando vegetariana, abbandona la carne, spesso prende a consumare maggiori quantità di formaggio. Ma, come ci spiega il dottor Barnard in questo libro, il rimedio potrebbe essere peggiore del male! Infatti il formaggio fa ingrassare, perché è fatto con il latte, che contiene grasso; ma nel formaggio il grasso è molto concentrato rispetto al latte. Molti evitano lo zucchero ritenendo che esso faccia ingrassare; invece lo zucchero viene in gran parte bruciato, mentre il grasso, compreso quello del formaggio, si deposita nel tessuto adiposo. Infatti il grasso si insinua nelle cellule muscolari riducendo il numero di mitocondri, e così rallenta il metabolismo.

Inoltre, il consumo di formaggio causa assuefazione. Infatti la caseina (la proteina principale del latte e del formaggio) è formata da una catena di “mattoni” chiamati aminoacidi, e durante la digestione rilascia delle catene brevi, chiamate “caseomorfine”, che si attaccano agli stessi recettori cerebrali dell’eroina ed altri narcotici, rilasciando dopamina e causando gratificazione e piacere. Ciò ha una funzione nello stabilire e rinforzare il legame del piccolo con la madre, ma rende difficile ad un adulto rinunciare al formaggio, che quindi si comporta come una vera e propria droga.

C’è di più. Il latte è prodotto da mucche gravide, e quindi contiene ormoni. Nel corso della gravidanza di una mucca, l’estradiolo nel latte aumenta di 17 volte, e l’estrone aumenta di 45 volte. Naturalmente, anche il formaggio, essendo fatto con il latte, sarà pieno di ormoni; ed infatti, le donne che consumano latticini ad alto contenuto di grassi hanno maggiori probabilità di morire di cancro al seno, rispetto a quelle che non li consumano. E gli uomini che consumano più formaggio hanno una minore concentrazione di spermatozoi rispetto a quelli che ne consumano meno. Gli uomini che consumano molti latticini hanno inoltre maggiori probabilità di sviluppare il cancro alla prostata. Ancora, chi consuma molti latticini assume più calcio di quanto l’organismo abbia bisogno; ma il calcio rallenta l’attivazione della vitamina D, che protegge dallo sviluppo di tumori; per conseguenza, il rischio di cancro aumenta.

Altri danni provocati dal latte e dal formaggio sono: favorire l’asma ed altri problemi respiratori; scatenare l’emicrania; causare dolori articolari; causare tendinite; causare l’acne; rendere difficile la digestione; favorire il diabete di tipo 1. Inoltre il grasso (incluso quello del latte e del formaggio) ostacola il funzionamento dell’insulina, causando il diabete di tipo 2, nonché malattie cardiovascolari, incluso l’infarto.

Negli allevamenti vengono separate precocemente le mucche dai vitelli, causando sofferenza per le une e per gli altri; inoltre non è vero che le mucche da latte non vengano uccise, come l’industria casearia vorrebbe far credere.

Infine, vi è il danno ambientale. Produrre formaggio significa consumare un’enorme quantità di acqua (un bene sempre più raro) per irrigare le colture di mangime, in modo che le mucche producano latte, che viene poi concentrato nel formaggio. Tali colture richiedono anche l’utilizzo di fertilizzanti, contenenti azoto e fosforo, che si riversano nei fiumi e nel mare: nel Golfo del Messico c’è una zona morta di 13.000 chilometri quadrati, causata dal deflusso di fertilizzanti dal Mississippi, in gran parte per coltivare i mangimi. E le mucche ruttano enormi quantità di metano, un gas serra molto più potente dell’anidride carbonica, e quindi contribuiscono in maniera importante al riscaldamento globale.

Quasi metà del libro è dedicata alle ricette, tutte strettamente vegane (Carlo Consiglio, 18 maggio 2019).

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Francisco Sánchez-Bayo & Kris A. G. Wyckhuys 2019. Worldwide decline of the entomofauna: A review of its drivers. Biological Conservation 238: 8-27.

La biodiversità degli insetti è minacciata in tutto il mondo. Sánchez-Bayo & Wyckhuys presentano una rassegna di 73 casi di declini di specie di insetti in tutto il mondo, ed il declino potrebbe condurre all'estinzione il 40% delle specie di insetti del mondo tra poche decadi. Negli ecosistemi terrestri Lepidotteri, Imenotteri e Coleotteri stercorari sembrano i gruppi più colpiti, mentre 4 importanti gruppi acquatici (Odonati, Plecotteri, Tricotteri ed Efemerotteri) hanno già perso una notevole proporzione delle specie. I gruppi interessati includono non soltanto specialisti che occupano una particolare nicchia ecologica, ma anche molte comuni specie generaliste, mentre altre specie generaliste occupano le nicchie ecologiche lasciate vuote dalle specie che sono in declino. Le cause del declino sembrano, in ordine di importanza: perdita dell'habitat; inquinamento; fattori biologici, inclusi patogeni e introduzione di specie; e cambiamenti climatici (7 maggio 2021).

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La dieta dei nostri antenati

 di Barbara Paknazar 

Pubblicato: 25 Giugno 2021 

Quando, circa 10.000 anni fa, la progressiva domesticazione di alcune specie vegetali portò alla nascita dell’agricoltura i nostri antenati, non solo i sapiens ma addirittura i Neanderthal (scomparsi diversi millenni prima), avevano già da tempo sviluppato la capacità di digerire cibi ricchi di amido.

A questa scoperta, che rivoluziona quanto si pensava in precedenza sull’alimentazione degli antichi Homo, è arrivato uno studio, pubblicato su PNAS, che ha esaminato la storia evolutiva del microbioma orale dei primi umani e ha individuato la presenza di particolari ceppi di batteri appositamente adattati per scindere gli amidacei in zuccheri semplici. 

Per arrivare a questo risultato il team di ricerca, guidato dal Max Planck Institute e composto da oltre 50 scienziati di 13 diversi Paesi, ha analizzato miliardi di frammenti di DNA conservati nella placca batterica dentale di 124 reperti fossilizzati. Tra loro, per permettere un confronto, non c’erano solo antenati umani ma anche altri primati, come scimpanzé, gorilla e scimmie urlatrici.

Tra i campioni esaminati c’è anche quello di un Neanderthal vissuto 100.000 fa, i cui resti sono stati rinvenuti nella grotta di Pešturina in SerbiaSi tratta del più antico microbioma orale mai sequenziato e l’esito delle analisi, condotte con strumenti tecnologici innovativi e approcci computazionali, ha permesso di capire che l’organismo di questo individuo era già in grado di digerire gli amidi.

Dai residui di tartaro, che oggi cerchiamo di eliminare attentamente quando ci laviamo i denti, è stato quindi possibile ricavare informazioni molto importanti sull'evoluzione umana, comprendere meglio cosa mangiavano i nostri antenati e in che modo gli aspetti nutrizionali abbiano influenzato i cambiamenti a livello di sviluppo cerebrale. 

Nei reperti degli antichi umani sono infatti stati rilevati degli specifici ceppi di batteri, del genere Streptococcusche si legano all’enzima della saliva che trasforma gli amidi in zuccheri. Un meccanismo che si sviluppa soltanto quando l’amido è una parte importante della dieta alimentare. I medesimi microrganismi sono invece risultati quasi totalmente assenti dalla placca dentale degli altri primati sebbene, in generale, lo studio abbia confermato che gli esseri umani condividano con essi molti batteri orali. 

Questo ridimensiona anche il ruolo della carne nella nutrizione dei Neanderthal e porta a ritenere che i loro pasti fossero molto più simili a quelli dei sapiens: variegati e con un ampio ricorso a cibi ricchi di amido, come tuberi e radici ma anche noci, differenti tipologie di semi e cereali selvatici.

Proprio il massiccio consumo di amidacei, poi trasformati in zuccheri grazie ai processi digestivi, avrebbe inoltre permesso l'espansione del volume del cervello umano, che richiede glucosio come fonte di nutrienti. Un passaggio chiave, ma non l'unico, nell'evoluzione delle capacità cerebrali che ci distinguono da altri primati a noi vicini.

"Ricostruire la dieta dei nostri antenati più antichi è una sfida difficile, ma dai batteri orali è possibile ottenere contenere indizi importanti per comprendere i primi cambiamenti dietetici che ci hanno resi unicamente umani", ha commentato Christina Warinner, una delle coautrici dello studio e docente con differenti incarichi afferenti all'area dell'antropologia e delle scienze del microbioma al Max Plank Institute e alle università di Harvard e Oklahoma. "I genomi batterici - ha aggiunto - si evolvono molto più rapidamente del genoma umano e questo rende il nostro microbioma un indicatore particolarmente sensibile per ricostruire i principali eventi del nostro passato evolutivo, lontano e recente".

Il primo autore James A. Fellows Yates del dipartimento di Archeogenetica dl Max Plank Institute ha inoltre sottolineato che grazie a questo lavoro è stato possibile dimostrare che il DNA batterico del microbioma orale si conserva almeno il doppio del tempo di quanto si riteneva in precedenza. "Gli strumenti e le tecniche sviluppate in questo studio aprono nuove opportunità per rispondere a domande fondamentali nell’archeologia microbica e consentiranno un’esplorazione più ampia dell’intima relazione tra gli esseri umani e il loro microbioma", ha spiegato. 

Allo studio ha partecipato anche Marco Peresani, docente della sezione di Science preistoriche e antropologiche all'interno del dipartimento di Studi umanistici all'università di Ferrara: lo abbiamo intervistato per avere maggiori dettagli su come sia stato possibile analizzare un DNA batterico così antico, sulle informazioni codificate nel nostro microbioma (che oggi sappiamo avere un ruolo strategico sulla nostra salute ma di cui si conosce ancora poco in termini di evoluzione) e sulle prospettive aperte dai risultati di questo lavoro. 

Peresani è anche il direttore degli scavi realizzati nei siti archeologici di Grotta de Nadale, in provincia di Vicenza, e di Grotta di Fumane, nel veronese, da cui provengono cinque denti di Neanderthal che fanno parte dei reperti fossilizzati utilizzati per questo studio. "Il risultato straordinario di questa ricerca è che ci permette di conoscere in buona parte la composizione e l’evoluzione del microbiota e questo è un fatto unico perché di solito alberga sulle porzioni alterabili, sui tessuti molli che non si conservano così a lungo nel tempo. Quindi il fatto di averlo trovato nel tartaro è stato importante", ha affermato il docente.

L'intervista completa a Marco Peresani, professore dell'università di Ferrara. Servizio e montaggio di Barbara Paknazar


Il professor Peresani comincia illustrando i reperti rinvenuti in Veneto e utilizzati per questo studio. "Si tratta dei denti decidui di giovani Neanderthal, recuperati grazie al continuo setacciamento del sedimento archeologico. Il dente di Grotta de Nadale è stato rinvenuto in un livello che ha un'età minima di 70 000 anni. Per un attimo abbiamo accarezzato l’idea di vantare il reperto più antico di questo genere ma poi nella nella grotta di Pešturina in Serbia è stato trovato un dente di Neanderthal risalente a 100 000 anni fa".

Le analisi sul DNA batterico sono state portate avanti a Lipsia, in Germania, dove ha sede il Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology. "Lo si fa attraverso il prelievo di microquantità di campione. Questi campionamenti possono essere in parte distruttivi ma in questo caso l'impatto sui reperti è stato veramente minimo", spiega Peresani iniziando poi a soffermarsi sulle informazioni ricavate dalla placca dentale fossile di oltre 120 esemplari, tra primati e ominidi. 

I ricercatori hanno infatti identificato dieci gruppi di batteri che fanno parte del microbioma orale umano e dei primati da oltre 40 milioni di anni e ancora oggi sono in comune. "Il risultato è importantissimo - afferma Peresani - perché mette in evidenza che la flora batterica delle scimmie catarrine e platirrine era condivisa ben prima della loro separazione intorno a 40 milioni di anni fa e ovviamente è condivisa tra gli ominidi. L’aspetto straordinario è che siccome il nostro cervello, nel periodo intercorso tra 2 milioni di anni e 700 mila anni fa si è espanso del doppio, ha poi avuto necessità di specifiche sostanze nutritive che ne garantissero il funzionamento e la crescita".

Ci sono quindi molte similitudini nel microbioma orale di primati ed essere umani ma è in un particolare ceppo batterico, presente tra i Neanderthal e ancor di più tra i sapiensche si può cogliere un passaggio chiave dell'evoluzione umana. "A partire da 100 mila anni fa, l’età a cui è datato il dente di Pešturina, Neanderthal e sapiens hanno condiviso più o meno lo stesso microbiota e hanno conservato le tracce di determinati batteri che, legandosi all’enzima amilasi, consentono di estrarre dall’amido il glucosio, nutriente fondamentale per il nostro encefalo", approfondisce il professore dell'università di Ferrara. 

"Questo fa capire che i Neanderthal erano dotati di un cervello di notevole volume e poi, come sappiamo, i sapiens hanno conosciuto un aumento dell’encefalo, il tutto favorito proprio da questa flora microbatterica che era presente nel nostro cavo orale".

La dieta dei Neanderthal non era quindi quasi esclusivamente carnivora. Al contrario, era caratterizzata da una varietà molto superiore rispetto a quanto non si sia ritenuto finora. "Se potessero tornare in vita o vederci da qualche parte lontana, i Neanderthal ci ringrazierebbero per questa scoperta", commenta scherzando il professor Peresani. "Come archeologi - aggiunge  - siamo confortati da questi risultati perché l’archeologia stava già dimostrando in vari siti d’Europa che i Neanderthal avevano una dieta più allargata di quello che si pensava. Si cibavano di uccelli, di risorse ittiche e di amidacei perché sono state ritrovate delle tracce di amido su vari reperti e manufatti. Aver trovato questa associazione biologica ci conforta e conferma che i Neanderthal necessitavano di queste risorse per alimentare il loro cervello. Inoltre, questa similitudine del microbioma di sapiens e Neanderthal potrebbe anche essere legata ai numerosi eventi di meticciamento e di flusso genico tra le due popolazioni. Sappiamo che gli incontri sono stati ripetuti. Una prima volta è accaduto intorno a 100.000 anni fa nel vicino Oriente e poi le interazioni sono proseguite, fino alle soglie dell’estinzione dei Neanderthal".

Quanto alle prospettive aperte da questo studio il professor Peresani sottolinea che "è importante porre molta attenzione ai resti umani e ai sedimenti che li contengono. I denti di Grotta de Natale e Grotta di Fumane non sono gli unici e ne sono stati trovato altri di età più recente, ugualmente molto interessanti: abbiamo scoperto sulle Alpi alcune sepolture databili tra 14 e 17 mila anni fa che un domani potranno essere preziose anche per scoprire, attraverso l’analisi del microbioma, come è cambiato il comportamento alimentare tra gli stessi sapiens e come sono cambiati i sapiens nel corso dell’ultimo periodo glaciale. Un momento fondamentale che ha plasmato la nostra identità anche biologica, oltre che culturale".

Marco Peresani ha anche scritto un libro intitolato "Come eravamo. Viaggio nell'Italia paleolitica", uscito lo scorso anno per Il Mulino. Nel volume ripercorre le tracce dei primi insediamenti umani nella nostra penisola e ricostruisce i ripetuti incontri tra sapiens e Neanderthal. "Il panorama che offre la nostra penisola è molto interessante. Abbiamo delle evidenze dei primi popolamenti, su base biostratigrafica, comparabili a quelli che si registrano in Europa e sono databili intorno a 1,4-1,5 milioni di anni fa, anche se c’è qualcuno che sostiene che sia più appropriato parlare di 850 mila anni fa. Le età sono ancora da definire con precisione. Sicuramente i nostri siti archeologici possono fornire molte informazioni sull’arrivo dei primi sapiens nella nostra penisola 45 mila anni fa e sulle possibili interazioni biologiche e culturali tra sapiens e Neanderthal. Ci sono reperti e manufatti in  corso di studio, espressione della cultura materiale, che potranno offrire informazioni preziose forse già nei prossimi mesi", conclude Peresani. 

Barbara Paknazar

Fonte: 
Il Bo Live UniPD - 24.05.2021

 

N.B. Giungono a conclusioni simili, ma per strade diverse:

- J. & M. McDougall, "La starch solution" (vedi "Recensioni" in questo stesso sito);

- C. Consiglio & V. Siani, "Evoluzione e alimentazione: il cammino dell'uomo" (vedi "Altri libri di Carlo Consiglio" in questo stesso sito).