PERCHÉ CUOCIAMO IL CIBO?

“L’uomo è l’unica specie che cuoce il cibo prima di mangiarlo”. Questa frase viene spesso ripetuta, nell’ambiente dei vegetariani e dei fautori di un’alimentazione naturale, e specialmente dei crudisti, con una connotazione negativa: cuocere il cibo sarebbe un atto non naturale, che priverebbe il cibo di sostanze utili e ne creerebbe altre dannose. È certamente vero che l’uomo è l’unica specie animale che cuoce il cibo, ma questo fatto, lungi dall’essere una degenerazione, potrebbe essere una sua caratteristica essenziale, un adattamento importante raggiunto nella sua evoluzione e di cui ora non possa più fare a meno. Su questi problemi ha richiamato l’attenzione il libro di R. Wrangham (2009).

Quando è iniziata la cottura del cibo? Chiaramente essa è collegata con l’invenzione del fuoco che ha avuto importanti conseguenze evolutive, e deve quindi essere avvenuta in uno dei tre passaggi: da Homo habilis a Homo erectus (1,8 milioni di anni fa), da questo a Homo heidelbergensis (800.000 anni fa) e da quest’ultimo a Homo sapiens (200.000 anni fa). Il terzo passaggio è però da escludere perché Homo heidelbergensis già usava il fuoco 400.000 anni fa. Il secondo è anche poco probabile perché le differenze tra le due specie sono modeste ed hanno scarsa attinenza con i cambiamenti nella dieta. Pertanto l’invenzione del fuoco deve essere coincisa con la comparsa di Homo erectus. Questo aveva la superficie dei denti masticatori inferiore del 21% rispetto ai suoi predecessori, il che è coerente con la comparsa di un cibo cotto che richiedeva minor tempo per la masticazione. Inoltre Homo erectus aveva una gabbia toracica meno svasata ed un bacino più stretto, indicanti la presenza di un sistema digerente più piccolo, adatto al cibo cotto. Infine sembra che Homo erectus fosse un cattivo arrampicatore, il che è coerente con l’uso del fuoco che consente di dormire a terra e non sugli alberi, nonostante la presenza di pericolosi predatori.

L’uomo ha specifici adattamenti alla cottura dei cibi? Nei caratteri propri dell’uomo, che lo distinguono dagli altri Hominidae (scimpanzé, bonobo, le due specie di gorilla e le due specie di orang-utan), molti sono correlati all’alimentazione. Tra essi bisogna distinguere tra adattamnenti antichi e moderni (Consiglio & Siani 2003, p. 197). Gli adattamenti antichi sono quelli a consumare cibi duri, già posseduti dagli australopitecini e non perduti successivamente, quali: dentatura sotto al cranio, anziché avanti; articolazione temporo-mandibolare che consente la masticazione “rotatoria”; incisivi piccoli; canini ridotti; premolari e molari con cuspidi basse; smalto spesso; pollice opponibile e cuscinetti di grasso sul sedere (adatti a raccogliere semi e cariossidi). Questi adattamenti antichi sono correlati all’assunzione di cibo duro e quindi non cotto. Gli adattamenti recenti, invece, quali la riduzione della grandezza di premolari e molari, la tendenza alla riduzione del numero dei molari e la riduzione della lunghezza e della superficie dell’intestino, sono evidentemente correlati all’assunzione di cibi teneri e facilmente digeribili, quali i cibi cotti ed anche la carne.

Qual’è stato per l’uomo il vantaggio evolutivo di mangiare cibi cotti? Secondo Wrangham il vantaggio è costituito da un risparmio energetico nella costruzione e nel funzionamento del sistema digerente. Infatti le piante sono un cibo fondamentale per gli umani perché contengono carboidrati, ma crude sono di difficile digestione; gli amidi crudi vengono assimilati solo in parte, mentre quelli cotti intorno al 95%. Wrangham cita inoltre Aiello & Wheeler (1995), secondo i quali il cervello umano, pur pesando solo il 2,5% del peso del nostro intero corpo, utilizza ben il 20% del tasso metabolico basale; questo enorme consumo è possibile solo grazie ad una compensazione con l’intestino, che ha ridotte dimensioni (pesa solo il 60% di quello di un altro primate di uguali dimensioni) e quindi consuma meno energia. L’uomo non potrebbe quindi ritornare ad un regime crudista, perché il suo ridotto intestino non glielo permetterebbe.

La cottura del cibo farebbe quindi parte della nicchia ecologica della specie umana.

Altre prove della fondamentale importanza dei cibi cotti nell’evoluzione dell’uomo sarebbero:

·         La cottura del cibo è un fenomeno estremamente diffuso tra le varie culture umane, quasi universale.

·         La divisione sessuale del lavoro è un carattere universale della specie umana, strettamente collegata alla cottura del cibo, che per lo più è compito delle donne.

·         È dubbio che sia possibile per l’uomo sopravvivere a lungo nutrendosi solo di cibi crudi.

·         L’uomo ha la bocca e le labbra solto più piccole di quelle dello scimpanzé, adatte a tenere in bocca minori quantità di cibo, perché l’alta densità calorica degli alimenti cotti causa modeste esigenze di cibo.

·         Se il cibo fosse crudo, gli umani dovrebbero impiegare molto più tempo per masticarlo, come gli scimpanzé quando masticano la carne, ed il tempo disponibile non sarebbe sufficiente.

·         L’uomo è l’unica specie dei Primati ad aver perso il pelo, e questo è evidentemente un adattamento alla corsa senza il surriscaldamento che ne conseguirebbe nel torrido ambiente della savana. Ma ciò ha una conseguenza negativa, e cioè la difficoltà di mantenere il calore corporeo durante la notte, specialmente nei climi freddi in cui l’uomo si è anche diffuso. Questa difficoltà è stata superata grazie al fuoco (strettamente legato alla cottura dei cibi), la cui padronanza va quindi considerata come un adattamento universale della nostra specie.

Carlo Consiglio

 

BIBLIOGRAFIA:

Aiello L. C. & P. Wheeler, 1995. The expensive-tissue hypothesis: the brain and the digestive system in human and primate evolution. Current Anthropology, 36: 199-221.

Consiglio C. & V. Siani, 2003. Evoluzione e alimentazione: il cammino dell’uomo. Bollati Boringhieri, Torino, 242 pp.

Wrangham R. 2011. Catching fire: how cooking made us human, 2009. Traduzione italiana: L’intelligenza del fuoco: l’invenzione della cottura e l’evoluzione dell’uomo, Bollati Boringhieri, Torino, 293 pp.

 

Aggiornato al 17 ottobre 2016.